Il post-pensiero del "faremo" e "del niente" di un Cavaliere

Attacchi indiscriminati e imperscrutabili ai legittimi "partitini politici"

Tra la prima (agonizzante da anni) - fatta di cittadini eletti, di idee e di proposte politiche da valutare nella sede costituzionale, in definitiva "parlamentare" ex se - e la seconda Repubblica - invece "dei numeri" e delle cresciute rappresentanze di lobby, è trascorso un relativamente breve lasso di tempo. A causa della scoperta della teoria delle "larghe intese", ci si trova oggi effettualmente di fronte a una condizione di governo tout court "pre-parlamentare". Status nel quale risicate, se non meno, maggioranze numeriche (distorte in relazione all’elettorato legittimo), spesso coartate in ormai abituali voti di fiducia, provvedono alla gestione del paese lontane dal divenire di una democrazia reale. Rispetto a non uno dei tanti (cavalieri), che hanno scorrazzato per la penisola (da Goffredo di Buglione al Nostro), la Commissione Lavoro del Pri, di là dall’attenzione circoscritta al proprio impegno, sente la necessità di affacciarsi a un’analisi del pensiero politico, dei partiti, dei movimenti e dei relativi contenuti – per capi di sintesi, beninteso -, dello stile del cavaliere B. e della loro espressione -. In primis, incentrando considerazioni sulle "ricette" dello stesso ex-premier dell’ultima destra italiana, avverse all’in-utilità dei piccoli partiti, quale somma e summa esternazione natalizia ai suoi seguaci, ma invero anche di lezione e monito al Paese tutto. Spontaneamente sovvengono riflessioni di storia patria, di etica privata e pubblica - il tutto spalmato su profili più "psicologici dell’età" che politici del soggetto -, in rapporto alla valanga incessante di dichiarazioni non certo da house organ, né da public-relation man qual è. E quanto detto, non potendo non tenersi conto della politica non solo di quest’ultimo "ventennio", rimasta lontana [con buona pace del Machiavelli, cui sembrava essere ascritta un’ispirazione] mille miglia da ogni Morale. Così sopperiscono e sostengono velocemente, infatti, gli aedo di turno negli approfondimenti tematici: e il quadro si completa "magnificamente bene" per la migliore comprensione della linea politica nuova (sic!).

Regole etiche, anche nella storia di politica economica

Vano, il tentativo di rintracciare nel suo governare, atti amministrativi consequenziali ai vari "contratti" stilati financo con il "notaro del regime" (Vespa), sia quelli in materia economico-finanziaria, sia quelli connessi agli assetti politici della Nazione. I personali – a parte i vissuti nell’ambito della posizione morale -, appaiono registrati dalle cronache giudiziarie disseminate "in natura" a macchia di leopardo. Tentare di sfregiare, a dispetto della Storia, "i piccoli partiti e parimenti i loro leader", tanto accaduto negli ultimi attacchi polemici, rimane incomprensibile alla luce di regole di una basilare convivenza civile. Regole che esistono in politica, specie tra chi si è adoperato per esse, sia pure solo formalmente. Il tutto in una fase temporale, quale quella in corso, di una complessiva rendicontazione di esercizi in rosso acuto appartenenti a gestioni amministrativo-contabili e fiscali, sotto revisione, attivata "a più mani" dalle magistrature ordinarie e soprattutto contabili. Come pure, estrae la Commissione dalle note degli obiettivi e degli scostamenti, di avere cercato inutilmente di rintracciare coloro (altri) che abbiano ridotto al disastro il Paese, non volendo pregiudizialmente isolare l’unica forza politica che ha (s)governato - fatti salvi i brevi periodi di una sinistra altrettanto inefficace nella direzione di un Paese (sesta/settima potenza industriale, come l’avevano collocato "i partiti e partitini" della cd. prima repubblica). La politica dell’annessione ha cancellato quello che poteva cancellare – a meno del partito repubblicano che ha resistito alla morsa mortale, restando un consesso di uomini e donne legati a una ideologia e a contenuti di programma, mai incline al populismo né alle personalizzazioni. Tale il "caso" positivo, nello sfascio generale dei partiti e dei personaggi (che non si elencano per carità laica), non rinnegando ristoro dell’autonomia, avuto riguardo alle forze politiche "ricreate artificialmente" attraverso un giovane ex-democristiano di Avellino e una signora " leopardiana" lombarda; il tutto con, da un lato, una serie di Movimenti "usa e getta" dominati da vocazioni populistiche, dall’altro un socialismo residuale, accasato in massa e sin dalla propria nascita nell’avventura dell’originario movimento carismatico-populista berlusconiano. Di certo non faceva onore alla galassia del Cavaliere Lombardo - che ha sdoganato facilmente i fascisti e alimentato, nonostante lo schiaffo del leader Padano, il separatismo antirisorgimentale – la colleganza con "partitini liberal-democratici" della tradizione e statura di un Einaudi, di un Malagodi, di un La Malfa (l’oscar della lira!).

Le problematiche sociali che non si vogliono vedere

Altrettanto è certa l’intolleranza alle regole della democrazia, così ricordando Giorgio Bocca, che bene sintetizzò l’uomo che ha "anteposto i buoni affari ai buoni principi"! Come avrebbe potuto apprezzare lo stile e i contenuti del "modernismo lamalfiano" del primo dopoguerra - testimonianza storica di un impegno civile riguardo ai gravissimi e diffusi problemi del dopo conflitto mondiale, insieme allo stile pre-fascista (alla Amendola) dai contenuti finalizzati ad una compiuta democrazia evoluta, con la modernizzazione economica (esempio, la programmazione e la politica dei redditi in una sorta di New Deal, di ispirazioni laburiste) di cui il partitino repubblicano ha sempre cercato di far fare tesoro proponendoli coerentemente ai governi del suddetto Cavaliere, il quale ha privilegiato au contraire solo la propria immagine (per la verità oscurata e non poco, insieme a quella di un’Italia in declino), ma anche dei suoi colonnelli satelliti, rispetto ai contenuti? Ora assistiamo attoniti al suo post-pensiero e ad una specie d’introspezione sui problemi che forse non vede o meglio che tende a mascherare ed eludere, trasferendoli alla "gente comune che non consuma", quella in concreto che si è rintanata nell’antipolitica e nell’astensione.

I partiti politici nella Costituzione e i Circoli/Club

Confonde grossolanamente, il nostro cavaliere, la diversità dei ruoli delle funzioni e il livello della differenza tra il partito e il club/circolo: il primo, ricordando il pensiero di Paolino Ungari, inteso come "funzione di un sistema politico ed espressione completa della società civile", il secondo - pur sempre di libere aggregazioni, specie se appartenenti a una stessa categoria o condizione sociale, ecc., ancorché per concezioni comuni programmatiche socio-politiche e senza che si disgiunga da una attenzione alle idee, ma anche e soprattutto per finalità sociali, militari, sportive, culinarie specie quelle della caccia. Non vanno sottaciute invece quelle aggregazioni di particolare levatura che, in carenza di partiti politici, hanno fatto la storia e prodotto esaltando, dopo la Liberazione in Francia e in quel vuoto di istituzioni, documenti di altissimo valore redatti dal Club Jean Moulin, martire del nazi-fascismo, raccolti ne "L’Etat et le citoyen" (edizione Du Seuil, 1961, e Comunità Milano 1963) sul "pensiero politico, progresso civile e scientifico", atteso il crollo – per due volte – subìto dalle istituzioni democratiche francesi. Ma non è il caso nostro; necessitano all’Italia un partito politico maggioritario (sul serio) e un Presidente della Repubblica – al pari di Napolitano in grado di tenere "la barra al centro" come nei recenti frangenti avvenuto durante la perigliosa navigazione della legislatura, che abbia a sopportare anche offese e minacce in rilascio da frange populiste -, e non di sicuro un "Club/Circolo" da utilizzare nella prossima Terza Repubblica.

La Commissione Lavoro Previdenza Sicurezza: Arpaia (anche LIDO), Esposito (anche Unitre), Baldacconi, Baratto, Giannoni, Lanti, Marmo, Mileto e Serrelli